Lo sfilatino? Arriva dalla Transilvania
Invasi dalle pagnotte made in Romania
Da qualche tempo, la produzione di pane del Paese dell'Est è salita a 4 milioni di chili. Una buona parte la mangiamo noi. Quasi un quarto del prodotto confezionato venduto nei nostri supermarket arriva di là. Preimpastato e surgelato dura due anni e basta una rapida cottura. Poco si sa sugli aspetti igienici e non c'è obbligo di esplicitare la provenienza sull'etichetta
MILANO - La chiamavano arte bianca. Un tempo. Prima che scoprissimo la sostenibile convenienza dei fornai della Transilvania. Era un'arte bianca, rossa e verde. Adesso basta. Colpa del pane rumeno. Precotto, surgelato, riscaldato. E mangiato. Dagli italiani. Uno su quattro dei panini confezionati che troviamo nei supermercati e che mettiamo sotto i denti nelle mense e nelle tavole calde dei self service, è made in Romania. Baguette, filoni, pane a fette, pagnotte. Altro che eccellenza nostrana: il pane romanesti - niente a che vedere con quello tradizionale dolce a forma di zuccotto - lo cuociono nei forni di Bucarest, di Timisoara, di Costanza, di Cluj-Napoca. Costa meno della metà del nostro e dura due anni.
Lo sanno bene, prima di tutti, gli importatori. In Italia - alla faccia delle direttive europee - chi vende pane confezionato che viene da fuori non è ancora obbligato a scrivere sull'etichetta la reale provenienza del prodotto. Vista così sembra una storia tipo quella degli idraulici polacchi e della pummarola cinese: miti che albeggiano e poi tramontano (quasi). Qui invece pare che siamo solo all'inizio. Lo dicono i numeri e lo temono i 24mila panificatori italiani. Che nell'ultimo anno hanno visto lievitare - fuor di metafora, è il caso di dirlo - un'importazione parallela ancora più temibile, in quanto, di fatto, pienamente conforme alla legge. Il primo a lanciare l'allarme è stato Luca Vecchiato, già presidente nazionale di Federpanificatori. A Padova la sua famiglia sforna dal 1889. "Tantissimi mangiano pane straniero, tra cui in genere anche quello a forma di baguette francese, e non sanno che è prodotto in Romania o in Bulgaria. Il 20 per cento di quello che viene venduto nei supermercati della città e della provincia arriva da lì. E' pane precotto al quale basta poi un ultimo riscaldamento in forno".
Chiamatelo, se volete, pane globalizzato. Se sia anche taroccato e un pericolo per la salute, questo, in assenza di tracciabilità, non è dato sapere. Nella sola Romania si producono ogni anno 4 milioni di chili di pane surgelato a lunghissima conservazione (24 mesi). Il fabbisogno nazionale è basso (in confronto all'Italia che è al quarto posto in Europa dietro a Germania, Danimarca e Austria), e quindi più della metà viene esportato. Dove? Soprattutto in Italia. Nel Paese dell'arte bianca, della pasta e della pizza si stima che oltre il 25 per cento del pane confezionato ce lo mandino la Romania e altri paesi dell'Est (Bulgaria, Ungheria, Moldavia). Un'altra conferma arriva dalla Coldiretti. Le importazioni dalla Romania di prodotti a base di cereali sono più che raddoppiate nell'ultimo anno. Ben 1,3 milioni di chili, con un più 136 per cento. Un'impennata se si pensa ai 6.733 miseri chili di dieci anni fa. "Sono gli effetti della mancanza di trasparenza sul pane in vendita - ragiona Sergio Marini, presidente Coldiretti - che impediscono al consumatore di conoscere il paese dove sono stati coltivati i cereali da è ottenuto perché non è obbligatorio indicare l'origine in etichetta. All'inizio si delocalizza la provenienza delle materie prime. Subito dopo l'impianto di trasformazione e il laboratorio artigianale".
Quanto costa il pane rumeno? Perché ne importiamo così grosse quantità? Il costo sul mercato di un chilo di pane prodotto lungo le sponde del Danubio non supera i due euro al chilo. Meno della metà di quello esposto nelle vetrine dei nostri panifici (4-5 euro). "Questa è l'unica ragione per cui i consumatori continuano a acquistarlo", aggiunge Vecchiato. Non è un miracolo dell'economia. Né un effetto impazzito della crisi economica. La filiera delle baguette rumene si basa su un abbattimento dei costi di produzione e manodopera che l'Italia non può e non potrà permettersi. Fino al 60 per cento e anche oltre. Cluj Napoca, a 440 chilometri da Bucarest, è la vecchia capitale della Transilvania. Alle porte della città sorge uno dei più grandi panifici della Romania. Da lì e da altri stabilimenti come quello proviene gran parte del pane che invade supermercati e mense del Nord e Centro Italia. Così fa anche la Slovenia, che esporta ogni giorno quintali di pane diretto a Trieste e Gorizia. Il pane dell'Est, per ora, è un giro di affari da 500 milioni di euro. Accanto ai 7,2 miliardi di fatturato dei fornai italiani pare un pezzo di mollica. Ma la lievitazione è in corso.
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